Nella chiesa di Santa Lucia a Bergamo la culla del presepe resta vuota. Mons. Bianchi: «Impariamo così ad accogliere il prossimo»

martedì 30 dicembre 2008

Riportiamo l'articolo tratto da "L'Eco di Bergamo" che racconta della parrocchia di Santa Lucia a Bergamo dove il parroco, mons. Attilio Bianchi, ha lasciato provocatoriamente vuota la culla del Presepe nella notte di Natale. Questo per rimarcare ai suoi parrocchiani (ma vogliamo aggiungere a tutti i cristiani) l'importanza dell'accoglienza: "se non sappimo accogliere lo straniero, il diverso - dice mons. Bianchi - non possiamo accogliere il Bambin Gesù"
Il tema dell'accoglienza (magari visto anche sotto altre forme) deve essere chiaro anche a noi, questo non ci rende poi cosi distanti dall’indifferenza consumistica di una città come Bergamo.
E' un invito - come fanno sapere dalla parrocchia di Santa Lucia - ad interrogarsi perchè "fare Natale" non sia una prassi scontata.
Al termine dell'articolo potete leggere l'omelia pronunciata da mons. Attilio Bianchi durante la notte di Natale.
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«Una provocazione per interrogare la nostra vita». L'ha definita così, monsignor Attilio Bianchi, parroco della chiesa di Santa Lucia, la decisione di lasciare vuota nella notte di Natale la culla del presepe realizzato all'interno della chiesa di via Statuto, in città. Il sacerdote ha posto Gesù Bambino sull'altare, «dove vuole la liturgia» ha spiegato, ma ha deciso di lasciare vuota la culla del presepe per offrire uno spunto di riflessione sul tema dell'accoglienza: «Oggi è Natale, ma è davvero Natale per il mio cuore? - ha detto durante l'omelia della Santa Messa della Vigilia di Natale -: Posso dire di essere capace di accogliere quel Bambino che viene dentro la povertà di una grotta, se non sono capace di accogliere ogni giorno chi bussa alla porta del mio cuore? La culla rimane vuota, per sottolineare la nostra responsabilità verso il mondo, il mondo che è nella guerra delle armi e il mondo che è nella guerra del benessere sprecone: nessuno può chiamarsi fuori, perché altrimenti paradossalmente Dio potrebbe rimanere l’eterno assente dalla mia vita nonostante le mie parole e i miei gesti siano imbevuti di religiosità».
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Monsignor Attilio Bianchi cita nella sua predica anche il prologo di Giovanni: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi», e poi continua nella sua omelia: «È la strada dell’Amore quella che il Dio che si fa Carne indica ad ogni uomo e ad ogni donna; e l’Amore non lascia mai fuori nessuno, anche se sceglie, non emargina, non rifiuta di accogliere, non dice di non avere tempo, non inventa scuse, non si nasconde dietro la paura del diverso da me». Da qui il forte messaggio sul tema dell'accoglienza: «Gesù Bambino è stato posto dove vuole la liturgia, e cioè sull'altare - ha spiegato il sacerdote -. Il presepe è una rappresentazione, ha anche un significato pedagogico. per questo ho lasciato la culla vuota, per richiamarci tutti, preti compresi, alla necessità dell'accoglienza continua di quelli che abbiamo accanto».
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La stessa omelia della Vigilia di Natale ha chiarito il pensiero del parroco di Santa Lucia: «La culla rimane vuota, quest’anno nel nostro presepio, perché ciascuno di noi impari ad amare, perché solo chi ama incontra il Cristo. E allora preghiamo, perché questo Natale sia l’occasione per lasciarci cambiare lo sguardo sugli altri, perché possiamo prenderci cura di ogni uomo, di ogni fratello, perché in ogni altro abita il Cristo».
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L'omelia di mons. Attilio Bianchi
È la Notte Santa: abbiamo invocato, pregato, detto molte parole in questa Veglia. Parole che si riassumono nell’Unica Parola che ci viene consegnata dentro questa Notte: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» è quanto Giovanni racconta nel suo prologo.
È una Parola molto attuale: è Cristo che si consegna, è Lui la Parola, ma nello stesso tempo consegna le sue parole, il suo Vangelo. È una Parola che continua a chiamare – non a partire da principi astratti o regole religiose a cui attenersi in modo formale – perché la Parola si fa Carne, nella carne di un Bambino.
È un annuncio di gioia e di speranza che cambia radicalmente il nostro modo di porci davanti a Dio: non siamo noi a cercare Lui, ma è Lui che ci viene incontro, si fa uno di noi, si fa riconoscere dentro un corpo come il nostro. Ciascuno di noi viene da natali diversi: i natali della nostra infanzia non sono uguali a questo che stiamo celebrando. Forse per le giovani generazioni non è avvertita questa distanza temporale tra il passato e il presente; per noi di una certa età, che ci trovavamo dentro quell’unica stanza attorno alla lunga tavolata con tutta la famiglia al completo, a sospendere per un giorno i panni della ferialità povera per indossare l’abito della festa, era più facile comprendere che nulla poteva essere sprecato, ma ogni cosa riutilizzata e condivisa.
Ma non vorrei questa sera aggiungermi ai molti che fanno prediche moraleggianti sul natale consumistico: sapete già da voi, e se siete qui questa sera è perché una scelta l’avete fatta, quella di sostare almeno per un attimo, lontano dalle luci colorate della città, per inginocchiarsi davanti al Bambino. Solo voi, solo ciascuno di voi, può sapere che tipo di risposta ha dato per questo Natale: se una risposta più o meno entusiasta rispetto ad ieri, se più o meno gioiosa, se più o meno accogliente.
Certo, forse per qualcuno sarà un Natale con un vuoto in più, perché il marito, la moglie o il figlio se ne è appena andato, lasciandoci soli, avvertendo di più, in queste giornate di festa per gli altri, il vuoto che rimane tutto per noi e le ferite che fanno fatica a rimarginarsi. Una solitudine che è presa su di sé da questo Dio-Bambino che scegliendo di farsi carne prende su di sé tutta la nostra vita, tutti gli attimi della nostra esistenza: è un Dio che non rimane per sempre bambino, e, crescendo, da uomo affronta come noi, la sofferenza, il dolore e la morte. Non fugge di fronte all’abisso del vuoto e della solitudine, delle relazioni lacerate, delle morti quotidiane che ogni giorno sperimentiamo.
Egli è l’Emmanuele, il Dio-con-noi, e attraversa con noi da pellegrino, da ospite e da straniero, le vicende quotidiane di questa terra, per aprirci al dono della vita eterna. Una vita eterna che è un ritorno a Casa: quel Bambino ci consegna la strada per non perdere la meta, ci offre la possibilità di rimetterci tra le braccia del Padre, dell’unico Padre che prepara per tutti i popoli il banchetto del regno dei cieli. È la strada dell’Amore quella che il Dio che si fa Carne indica ad ogni uomo e ad ogni donna; e l’Amore non lascia mai fuori nessuno – anche se sceglie - non emargina, non rifiuta di accogliere, non dice di non avere tempo, non inventa scuse, non si nasconde dietro la paura del diverso da me. È per questo motivo che il nostro presepio quest’anno avrà la culla vuota: «Venne tra i suoi, e i suoi non lo riconobbero». È una provocazione per interrogare la nostra vita.
Oggi è Natale, ma è davvero Natale per il mio cuore? Posso dire di essere capace di accogliere quel Bambino che viene dentro la povertà di una grotta, se non sono capace di accogliere ogni giorno chi bussa alla porta del mio cuore? La culla rimane vuota, per sottolineare la nostra responsabilità verso il mondo, il mondo che è nella guerra delle armi e il mondo che è nella guerra del benessere sprecone: nessuno può chiamarsi fuori, perché altrimenti paradossalmente Dio potrebbe rimanere l’eterno assente dalla mia vita nonostante le mie parole e i miei gesti siano imbevuti di religiosità.
Il prologo di Giovanni che abbiamo fatto scendere dall’alto nel nostro presepio, scritto in greco secondo il testo originale, termina dicendo che «Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato». E ce lo ha rivelato come colui che nella sua Misericordia sa accogliere sempre ogni uomo in qualunque momento della propria vita. È un Padre che sa accogliere i suoi figli, desidera tanto che i suoi figli s’accorgano di essere tra loro fratelli. Forse è proprio per questo che il giudizio del Padre Misericordioso in compagnia del Figlio Gesù e dello Spirito Santo, è un giudizio sull’amore come descritto da Matteo al capitolo 25: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi».
La culla rimane vuota, quest’anno nel nostro presepio, perché ciascuno di noi impari ad amare, perché solo chi ama incontra il Cristo. E allora preghiamo, perché questo Natale sia l’occasione per lasciarci cambiare lo sguardo sugli altri, perché possiamo prenderci cura di ogni uomo, di ogni fratello, perché in ogni altro abita il Cristo. Amen.
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(© "L'Eco di Bergamo" - 27/12/2008)

1 commenti:

ufficialedelegato ha detto...

Epifania :questa festa è la prima occasione in cui Dio si rivela all’umanità tramite il Figlio. Gesù diviene visibile a tutti: tale rivelazione fu prima rivolta ai pagani per mezzo dei Re Magi, i quali andarono a visitare il Bambino Gesù simbolo della chiamata alla salvezza delle popolazioni pagane. L'episodio dei magi, al di là di ogni possibile ricostruzione storica, possiamo considerarlo, come hanno fatto i Padri della Chiesa, il simbolo e la manifestazione della chiamata alla salvezza dei popoli pagani: i magi furono l'esplicita dichiarazione che il vangelo era da predicare a tutte le genti.
Ed ecco che, con grande ingegno liturgico-pastorale, monsignor Bianchi, ha collocato il Bambino Gesù, che per tutte le festività natalizie era rimasto sull’altare, nella culla del presepio. perché oggi è il giorno in cui Gesù si manifesta a tutti gli uomini. Ed è' giusto ricollocare il Bambino al suo posto, nel presepe, a conclusione di un cammino natalizio che all'interno della comunità parrocchiale di Santa Lucia ha fatto riflettere molto sull'accoglienza.